MISSALE ROMANUMVETUS ORDO
MESSALE
SECONDO IL RITO ROMANO
E IL CALENDARIO SERAFICO
LETTURE: Sir 26,1-4. 13-21; Sal 33; Lc 6,27-38
Figlia del re Andrea II d’Ungheria, fu data sposa
assai giovane al duca Ludovico IV di Turingia.
Vivacissima di carattere, molto dedita alla preghiera,
era piena di carità attiva verso i poveri, i malati,
gli appestati, operando contro ogni ingiustizia
fatta al popolo, assecondata in ciò dal marito.
Morto lui in una crociata, dovette coi suoi
tre bambini, ventenne, lasciare la corte.
Allora abbandonò ogni cosa
per darsi tutta al Cristo «vivo», i poveri.
Iscrittasi al terz’ordine di san Francesco (morto
un anno prima),
si dedicò con umiltà e amore alle cure dei malati
nell’ospedale che aveva eretto in suo onore a
Marburgo.
Visse come una «religiosa» fino alla morte,
avvenuta il 17 novembre 1231.
Fu canonizzata nel 1235.
La «pista» evangelica da lei tracciata
alle spose dei crociati fu percorsa
come più luminosa
che non quella di una conquista terrena.
Elisabetta conobbe ed amò Cristo nei poveri
Dalla «Lettera» scritta da Corrado di Marburgo,
direttore spirituale di santa Elisabetta
(Al pontefice, anno 1232;
A. Wyss, Hessisches Urkundenbuch I, Lipsia 1879,
31-35)
Elisabetta incominciò presto a distinguersi in
virtù
e santità di vita. Ella aveva sempre consolato i poveri,
ma da quando
fece costruire un ospedale presso un suo castello,
e vi raccolse malati di ogni genere, da allora
si dedicò interamente alla cura dei bisognosi.
Distribuiva con larghezza i doni
della sua beneficenza
non solo a coloro che ne facevano domanda
presso il suo ospedale, ma in tutti i territori
dipendenti da suo marito.
Arrivò al punto da erogare
in beneficenza i proventi dei quattro principati
di suo marito e da vendere oggetti di valore
e vesti preziose per distribuirne il prezzo ai poveri.
Aveva preso l'abitudine di visitare tutti
i suoi malati personalmente,
due volte al giorno, al mattino e alla sera.
Si prese cura diretta dei più ripugnanti.
Nutrì alcuni, ad altri procurò un letto,
altri portò sulle proprie spalle,
prodigandosi sempre
in ogni attività di bene, senza mettersi
tuttavia per questo
in contrasto con suo marito.
Dopo la morte di lui, tendendo alla più
alta perfezione,
mi domandò con molte lacrime che le permettessi
di chiedere l'elemosina di porta in porta.
Un Venerdì santo, quando gli altari
sono spogli, poste la mani sull'altare in una cappella
del suo castello, dove aveva accolto i Frati Minori,
alla presenza di alcuni intimi, rinunziò
alla propria volontà,
a tutte le vanità del mondo e a tutto quello
che nel vangelo il Salvatore ha consigliato di lasciare.
Fatto questo, temendo di poter essere riassorbita
dal rumore del mondo
e dalla gloria umana, se rimaneva nei luoghi in cui
era vissuta insieme al marito e in cui
era tanto ben voluta e stimata,
volle seguirmi a Marburgo, sebbene
io non volessi.
Quivi costruì un ospedale ove raccolse i malati
e gli invalidi e servì alla propria mensa
i più miserabili ed i più derelitti.
Affermo davanti a Dio che raramente
ho visto una donna
così contemplativa come Elisabetta,
che pure era dedita a molte attività.
Alcuni religiosi e religiose constatarono
assai spesso che, quando ella usciva dalla sua
preghiera privata, emanava dal volto un mirabile
splendore e che dai suoi occhi uscivano
come dei raggi di sole.
Prima della morte ne ascoltai la confessione e
le domandai cosa di dovesse fare dei suoi averi e
delle suppellettili.
Mi rispose che quanto sembrava sua proprietà
era tutto dei poveri e mi pregò
di distribuire loro ogni cosa,
eccetto una tunica di nessun valore
di cui era rivestita,
e nella quale volle esser seppellita. Fatto questo,
ricevette il Corpo del Signore.
Poi, fino a sera, spesso ritornava
su tutte le cose belle
che aveva sentito nella predicazione.
Infine raccomandò a Dio, con grandissima
devozione, tutti coloro che le stavano dintorno,
e spirò come addormentandosi dolcemente.
http://www.maranatha.it/Feriale/santiProprio/1117aPage.htm
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